giovedì 24 maggio 2012

True Story: Bet this

Un po' ne capisco, di linguaggio pubblicitario e di tecniche di marketing.

Mi rendo conto che, magari, delle volte bisogna anche accontentare le richieste di un cliente che "ha un'idea vincente" e non c'è verso di schiodarlo.

E va bene anche il vecchio (e per me superato, ma insomma...) adagio secondo cui "basta che se ne parli", ovvero che se una pubblicità attrae attenzione, fosse anche sotto forma di critiche negative, ha fatto il suo lavoro.

Non sono così ipocrita da condannare l'uso strategico del corpo femminile, anzi: sono il primo ad apprezzare le grazie del gentil sesso, per così dire.

Insomma: ok, va bene tutto, e tutto quello che volete ma, dopo aver visto questo:



il mio unico pensiero è che ce la meritiamo, l'estinzione.

venerdì 18 maggio 2012

True Story: El sapo coronado

Scrivo queste righe come espiazione.
Nella flebile speranza che possano dimostrare la sincerità dei miei propositi, e per offrire un'indicazione a tutti coloro che ancora non hanno compreso la verità.
Ma procediamo con ordine.






Tutto è iniziato pochi mesi fa. Ero con alcuni amici alla fine di una di quelle dissolute serate fatte di eccessi e libagioni, con le quali cerchiamo un temporaneo ristoro dalle brutture cui la vita ci sottopone.
All'uscita di uno dei locali in cui ci rifugiavamo alla ricerca di alcool e cibi diversamente salutari, ed in preda agli effluvi così tanto anelati, sprecavamo come di consuetudine il nostro misero tempo vagando per strade ignote.
È stato allora che accadde. Non ricordo bene chi di noi lo notò per primo. Forse io, la cui spiccata sensibilità ha sempre causato qualche difficoltà di troppo ad adattarsi ad un mondo che, invece, richiede notevoli dosi di ignoranza per poter sopravvivere. Forse qualcun altro, non ricordo (ecco: vedete anche voi quali effetti nefasti comporti il perdersi in futili passatempi come l'inebriante liquido alcolico).
Quel che ricordo con assoluta precisione è questa piccola vetrina, dall'apparenza quasi insignificante, e che tuttavia esercitò su tutti noi, all'istante, un fascino magnetico. 
Ma, ingenui, non capimmo. All'inizio tutto ciò che vedemmo furono incomprensibili chincaglierie, oggetti troppo bizzarri e inusuali per non suscitare risa di scherno.

E così fu: passammo interminabili minuti a ridere di quelle stramberie, di quei ninnoli che, per quanto sicuramente preziosi, erano tuttavia così peculiari e (ora ho brividi nello scrivere questa parola) alieni
Con il senno di poi, non posso far torto alle nostre controparti di quei giorni passati, poiché davvero eravamo stolti, e il riso era forse la più comprensibile delle reazioni di fronte a oggetti... no: di fronte ad un evento di tale portata.
L'incoscienza benedetta che ottenebra le nostre menti di fronte all'incommensurabile.

Dopo aver attentamente riflettuto, ho deciso di mostrare anche a voi alcuni degli oggetti di cui parlo.
Lo faccio per un duplice motivo: perché le immagini possono rappresentare una testimonianza forse più valida e concreta delle mie seppur sincere parole. E perché la vista di questi oggetti possa portare altri, come me, sulla giusta via.
Tuttavia m'è d'obbligo avvisarvi: la scarsissima abilità come fotografo del sottoscritto, unita ai danni provocati dall'inebriamento, non rende lontanamente giustizia alla squisita -per quanto insolita- manifattura di questi oggetti. Inoltre, non è stato possibile riportare tutto cià che i nostri increduli occhi hanno rimirato in quella vetrina con il passare delle settimane. Ciò che vedrete è solo, ahimè, una misera frazione dell'oscuro Universo che ci fu svelato.

Ma mi rendo conto di stare indugiando, quindi darò l'onore dell'apertura di questa carrellata, come è giusto che sia, al principale soggetto:

no, non vi sbagliate: ciò che vedete è esattamente ciò che sembra. Un pendente, dall'altezza approssimativa di una dozzina di centimetri. In sbalzo su una pietra rosso sangue (e ora, solo ora mi chiedo: sciocco, come hai potuto non capire? Misero, misero me...) troneggia un rospo in procinto di balzare, dal dorso finemente incastonato con varie pietre preziose.

Forse, dopo un iniziale e comprensibile stupore, ora starete sogghignando. Starete pensando al cattivo gusto di un oggetto del genere, e forse velatamente vi beate dei vostri superiori gusti estetici.
Vi compatisco.

Lasciate che vi mostri ancora, per poi svelare ai vostri occhi la sublima, suprema Verità.

Mirate, dunque, questo oggetto. Sì, miei ingenui lettori: è un anello. Un anello la cui grandezza (sei, o forse sette centimetri di altezza) lo rende evidentemente inadatto a mani umane. E forse, ora, anche voi iniziate a capire. Ma non affrettare le vostre menti, non sforzate troppo la vostra ragione.
Attendete.
Perdetevi, piuttosto, nello screziato colore di un indefinibile blu elettrico della pietra su cui volteggia, all'apparenza immobile, un dorato ippocampo mentre, al di sotto, un'escrescenza carnosa e pulsante si maschera abilmente da corallo.




A voi offro in visione anche questa collana.
Sì, è una collana, in cui purtroppo si nota tutta l'imperizia della mano che riprendeva questa testimonianza, che non ha saputo cogliere gli sfaccettati barlumi scarlatti del contorto metallo rosso brunito che funge da catena e che, evidentemente, è stato progettato per sfregiare irrimediabilmente la pelle del collo che cinge. O, forse, chiunque debba indossare quella collana ha pelle molto più resistente del fragile rivestimento delle umani carni...
Osservate, alfine, anche la pietra pendente. Studiate, per quanto possibile, l'alternanza di colori discordanti, la foggia e persino i particolari delle striature, che la rendono più simile ad un avanzo culinario, deliberatamente lasciato a decomporre e poi cristallizzato, che a un prodotto geologico. Un materiale che, e ora posso finalmente dirlo, non può sicuramente provenire da alcuna cava o vena mineraria della nostra terra.


Prima di proseguire oltre, e per dar mondo alla vostra mente di comprendere pienamente, devo ora fornirvi alcuni ulteriori particolari, che noi abbiamo potuto scoprire con il passare del tempo, mano a mano che le nostre visite a quella vetrina diventavano più frequenti.

Perché il fascino esercitato su di noi da questa fantasmagoria d'oggetti non si dissolse nell'arco di una notte. No: entrò dentro di noi e iniziò a crescere, come una brama, come un oscuro desiderio di tornare e guardare e scoprire ancora. Potevo leggerlo chiaramente negli occhi dei miei compagni di baccanali, e potevo vederlo chiaramente riflesso in ogni specchio su cui si posasse il mio sguardo.
Tornavamo, e tornavamo, ma sempre dopo aver ottenebrato le nostre menti. Come se nel profondo delle nostre anime già sapessimo. E ogni volta, ogni volta, da quella vetrina occhieggiavano nuovi prodigi, come se dinanzi ai nostri sguardi si fosse aperta una finestra su mondi infiniti.

Tuttavia, come è perfettamente logico supporre, indulgere in banchetti e bevute provocava lo scorrere del tempo, e noi ci recavamo di fronte alla vetrina quando la porta del negozio era oramai chiusa, poiché di molto era passato l'orario utile. Per molto tempo abbiamo commentato con amarezza questo increscioso particolare, ma ora so che questo cruccio era vano come il lamentarsi di fronte all'inevitabile. Non eravamo pronti, ancora non eravamo degni.
E ancora: moltissimi di questi oggetti non ci è stato possibile riprenderli sugli schermi dei nostri apparecchi fotografici. Le immagini apparivano sempre sfocate, mosse... poco ce ne curavamo, perché l'abbondanza di fenomeni era tale da rendere queste perdite trascurabili, e perché attribuivamo questi fallimenti alle nostre condizioni non proprio lucide. Quanto ci sbagliavamo...


Iniziai a capire.
La consapevolezza iniziò a farsi finalmente strada, come fuoco che troppo ha covato sotto le ceneri, quando vidi questo:

cos'è, vi chiederete? All'apparenza, per quanto ci sia dato di capire, è un pendente. Ma vi prego di porre attenzione ad alcuni dettagli: la grandezza, in primo luogo. Non è ben comprensibile da questa foto (finirò mai di scusarmi per la mia colpevole mancanza d'abilità?), ma l'oggetto principale, a foggia di zanna, è lungo approssimativamente una quindicina di centimetri. Un vero e proprio corno, insomma, anche se non compresi subito la portata di questa conclusione: quale animale sulla terra, infatti, possiede una zanna o un corno di tale misura e forma? E, soprattutto, perché mai utilizzarlo come monile? Ricorda molto, in effetti, i primordiali paramenti sacri degli antichi culti primigenii, quando esaltati sacerdoti usavano attrezzi simili a questo per sventrare vittime sacrificali e offrire le loro viscere fumanti ai loro iracondi Dei.

D'improvviso, fu come se la la luce rischiarasse un panorama nebbioso. I pezzi iniziarono ad andare al loro posto e tutto iniziò ad acquisire un senso.

Ma mancava un ultimo, decisivo dettaglio.
Nella mia incoscienza, avevo fatto menzione ad un conoscente, esperto esteta, di questa bottega così originale. La sua reazione fu di tale interesse che gli fornii tutte le indicazioni per poter raggiungere il luogo ove poter rimirare tali unici oggetti.
Il giorno successivo, tuttavia, l'amico mi svelò un fatto che mi provocò un profondo sconvolgimento. Aveva seguito per filo e per segno le mie istruzioni eppure, al luogo prefissato, della gioielleria non v'era alcuna traccia.
Non ho ragiore di dubitare della sua parola: so che è in buona fede.
Di più: so che ha assolutamente ragione, perché in quel momento l'epifania si è rivelata completamente al mio essere.

La vetrina, con il suo inesauribile carico di portentosi oggetti, è visibile solo a coloro che, prescelti, si trovano in stato di alterazione della coscienza e delle percezioni.
Inoltre ogni oggetto ivi contenuto, ogni signolo gioiello, è un segnale, un'indicazione mistica. Ognuno è parte di un culto antico oltre ogni dire. Il culto dedicato a El sapo coronado, il sacro Rospo Incoronato che gorgheggia nelle profondità ctoniche accanto a Chtulhu.
Ecco, mirate la sua effige:

 E ancora:

El sapo coronado

il cui dominio ultraterreno, quando i Grandi Antichi si risveglieranno dal sonno cieco e delirante in cui versano, saranno le paludi infinite in cui prosperano antichi spiriti totemici come
Il Gran Gufo:

Dimensione approx: 20 cm
La Stella Marina Arrognata:

Notare la parure con gli orecchini
E la sua progenie:

Danzano. Danzano.
I Sempiterni Crescenti Fungini di Yuggoth:

Veduta d'insieme
Dettaglio: spilla & anello
G'Lin e G'Lan, i Brontolanti Carlini Zoroastriani:

G'Lin
G'Lan
La vetrina altro non è che il primo passo del percorso iniziatico che condurrà i degni al cospetto dei Sacerdoti del Culto, per potersi unire all'adorazione del Sapo Coronado in attesa del suo Gran Gracidìo, che sarà il segnale dell'avvento di Nyarlathotep, il Caos Strisciante, e dell'inizio dell'Era di Azathoth.

Ora che so, mi pento di aver così scelleratamente riso di queste sacre effigi.
Ora che so, mi recherò nuovamente, e per l'ultima volta, in quel mistico luogo, crocevia di mondi.
Ora che so, la Porta si aprirà per me, e potrò cantare coi miei nuovi compagni non umani le lodi del Dio che Gracida dal Nero Pozzo del Cielo.

El sapo coronado.
El sapo coronado.





Croac!

martedì 8 maggio 2012

Dubbing for dummies

La sala era piena, poi parla Fabio Volo...
Tra i vari Inferni della mitologia cinese (di cui sono esperto grazie alla reiterata visione di quel capolavoro di Grosso guaio a Chinatown), sono sicuro che ce ne sia uno destinato a punire chi si è macchiato di indicibili crimini contro l'umanità.
Me lo immagino come una sala cinematografica bellissima e completamente deserta, tutta per te.
In cui proiettano, per l'eternità, il tuo film preferito.
Doppiato da Fabio Volo e Luciana Littizzetto.






Ora, sul serio: qualcuno me lo spiega?
Qualche responsabile marketing di una qualunque casa di distribuzione cinematografica mi può dare un accidenti di motivo plausibile?
Anche "sadismo" è una risposta accettabile, almeno me ne faccio una ragione.

Intendiamoci: non ho grossi pregiudizi nei confronti del doppiaggio.
So che la versione del film nella sua lingua originale è "un'altra cosa", non ho problemi a seguire sottotitoli eccetera, ma capisco anche che questa modalità di fruizione (che altrove è la norma), qui è l'eccezione.
Noi italiani siamo abituati al doppiaggio e, almeno fino ad un po' di tempo fa, anche a un ottimo livello di doppiaggio.
Amen: un male necessario che veniva comunque ben gestito.
(Attenzione: qui si parla di doppiaggio. L'adattamento è una questione del tutto diversa).

Poi è successo qualcosa di irreparabile.
Qualche Genio del Marketing, il cielo lo strafulmini, deve aver pensato che ci fossero film che avrebbero avuto bisogno di una bella "marcia in più". Quindi, visto che ormai siamo un paese che campa di celebrità autocelebranti, cosa c'è di meglio che mettere in cartellone il nome di un VIP che, magari, sta al doppiaggio come un pecorino muffito sta alla Sacher Torte?
Allora, chiariamo.
Non è una buona idea.
Per dirla come va detta, e senza lasciare alcuna possibilità di dubbie interpretazioni: è un'idea del cazzo.
Basta.
Piantatela.
Non è che se fate doppiare un film a DJ Francesco mi invogliate a comprare il biglietto.
Mi invogliate a comprare una mazza ferrata e a scagliarla contro le casse del cinema.
Capito? Non state guadagnando spettatori: li state perdendo!

Protagonista del film. Che incentivo, eh?

Giusto per rivangare il passato, facciamo un elenco parziale e rigorosamente mnemonico di questi orrori, perché niente deve restare impunito:
DJ Francesco in Robots.
Tiziano Ferro in Sharks.
Fabio Volo in Kung Fu Panda.
Omar Sharif e la sua dentiera in Narnia.
Christian De Sica in Galline in fuga, Ortone e, giusto perché perserverare è diabolico, anche in Pirati.
E poi Luciana Littizzeto, Ilaria D'Amico, Max Giusti, Fabrizio Frizzi e (l'orrore! L'orrore!) Luca Laurenti e Silvio Muccino.


Basta, dite? Ma certo che no.
Marco Mengoni e Arisa (sulla fiducia), Josè Altafini, il Trio Medusa, Michelle Hunziker, diosanto! Michelle Hunziker!
Non è un elenco di doppiatori, cazzo: è il sommario di Novella 2000!
Potrei continuare per parecchio, ma citerò come chiosa solo il peggior doppiaggio mai ascoltato da umane orecchie: lo scempio perpetrato ai danni di Shaolin Soccer.
E no, neanche l'idea che i proventi del doppiaggio siano stati dati in beneficenza giustifica quella mostruosità.
Ma giusto se aveste debellato per sempre la fame nel mondo vi si poteva scusare.

Ma Come Diavolo Vi Viene In Mente?

Non è difficile da capire, anche se siete del marketing dovreste arrivarci, su.

Dove sei, quando c'è bisogno di te?
Film d'animazione per famiglie (una delle categorie più martoriate). Al bimbo frega nulla se lo doppia De Sica o l'immenso Alessandro Rossi (giusto per nominarne uno bravo).
Al genitore costretto ad accompagnare il bimbo, idem.
A quel punto restano i fan sfegatati di De Sica (che, però, dubito pagherebbero per sentirlo doppiare un pirata di plastilina che per di più non tenta di trombarsi la Ferilli o Belen) e i poveracci che, invece, aspettavano l'ultimo film dei creatori di Wallace & Gromit.
Che  alla prospettiva di sentire un pirata inglese (in originale con la voce e l'impostazione di un certo Hugh Grant) esprimersi con la simpaticissima cadenza romanaccia del Christianone denoantri, preferiscono stare a casa e aspettare la versione originale con i sub.

Parlando di pirati, appunto.

Secondo voi quanti sono stati i biglietti venduti in più grazie alla straordinaria performance di Michelle Hunziker in Madagascar (una roba da spingere chiunque all'emulazione di van Gogh...)?
Sul serio pensate che i fans di Fabbiovolo affollino le sale cinematografiche per sentire la bella parlata bergamasca del loro beniamino e godere della sua indicibile verve? No, non dico nei suoi (Dio, perdonami) film.

Dico per sostituire la voce di Jack Black?

Trova le differenze (aiutino: uno fa ridere, l'altro no. Ma proprio no.)

(Che, tra l'altro, Fabrizio Vidale lo doppia anche benino, Jack Black. Ma così per dire, eh?)

Quindi piantatela.

Non è difficile: doppiaggio-> Fatelo fare ai doppiatori.
Gli "altri" (cantanti, soubrette, comici, presenzialisti vari) hanno rotto.
E non mi riferisco solo ai timpani.


mercoledì 2 maggio 2012

Daytripper: 2 cent su...






Durante il Cartoomics dell’anno scorso l’ottimo Sergio Tulipano ha chiesto a diversi esponenti del mondo del fumetto di indicare un titolo “da leggere assolutamente”. Ne è venuta fuori una biblioteca di tutto rispetto, da Spiegelman a Watterson, da Ken Parker a Little Nemo. Il gotha del fumetto quellofigo, per intenderci.


Io aggiungo Daytripper, della coppia prodigio Fabio Moon e Gabriel Bá.
Daytripper è il racconto di una vita, e di tante morti.
La vita è quella di Brás de Oliva Domingos, fatta di presenze, di parole, di incontri e rapporti complessi, a cominciare da quello con il padre, scrittore di grande successo e personalità, figura chiave per la crescita del tormentato protagonista. E poi il suo migliore amico, il primo grande amore, la moglie, il figlio…

Una vita normale (qualunque cosa questo voglia dire) e quindi di rara bellezza, che ci viene raccontata in diversi momenti del suo percorso, istantanee di un periodo particolare, importante e significativo e tutte, immancabilmente, con lo stesso esito.
Ogni capitolo termina con la morte di Brás: una morte accidentale, tragica, che interrompe la sua vita, ma non la sua storia.
Un evento che non è un “semplice” espediente narrativo, ma diventa vera e propria allegoria dell’esistenza. Perché ciò che siamo è, alla fine, condizionato dalla consapevolezza dell’unica cosa sicura del nostro percorso: che prima o poi finirà. Il nostro come quella di chi ci circonda, che siano persone care come sconosciuti.
Brás scrive necrologi, dovrebbe essere riuscito a venire a patti con la morte eppure, come dice lui stesso: “Vien da pensare che una persona si prepari all’inevitabile, con il tempo. Ma non è così.”

Daytripper è un dono prezioso: un racconto delicato e intenso sul miracolo della vita che si rinnova ad ogni generazione, sul filo che lega in modo indissolubile i genitori ai figli, sull’amore e sull’amicizia, sulla crescita e, soprattutto, sulla presenza costante che accompagna ogni nostro passo, su quell’evento insieme inaspettato e inevitabile che è la scomparsa, la fine della vita.


È incredibile come i due autori brasiliani siano riusciti a confezionare un libro così perfetto, capace di emozionare chiunque lo legga, a prescindere da età, formazione o gusti.
Forse proprio perché parla, in modo così efficace, dell’unica cosa che ci rende tutti uguali e con cui tutti, prima o poi, dovremo venire a patti.
“La vita è come un libro, e ogni libro ha un finale. Non importa quanto ti piaccia il libro: arriverai all’ultima pagina, e finirà”.



Il volume, per le note vicissitudini legate alla Planeta, non è più facilmente reperibile (se vi piacciono gli eufemismi), quindi se vi capita di vederlo su qualche scaffale fatevi un gran favore e prendetelo.
Inoltre oggi i due autori sono ospiti presso la fumetteria Comix Factory, a Caserta. Trovate tutte le informazioni al blog dell'anfitrione, Stefano Perullo, persona squisita prima ancora che grandissimo esperto di fumetti: Comix Factory

Io, purtroppo, sono incatenato alla scrivania e non potrò esserci ma, se ne avete la possibilità, andateci e tributate a questi due eccezionali autori il giusto merito anche da parte mia.
Ve ne sarò grato.